Non troppo tempo fa, si faceva un gran parlare di METAVERSO: sembrava essere il naturale sviluppo di internet, usato in combinazione con le nuove tecnologie, ora più accessibili, di realtà virtuale e simulazione 3D, applicati a qualsiasi cosa facesse parte di internet; erano nate diverse start-up il cui obbiettivo era quello di creare interi mondi virtuali da cui rivendere lotti a peso d’oro (che in molti si sono affrettati ad acquistare), mentre un colosso come Facebook Inc. ci aveva scommesso così tanti soldi da cambiare addirittura il proprio nome aziendale in Meta. Il tutto condito con termini sempre più in voga come NFT e CRIPTOVALUTE, giusto per aumentare la confusione dei meno tecnologici, mentre i sedicenti guru della prima ora facevano spuntare corsi su corsi su come guadagnarci sopra.
Ma cos’è effettivamente il MetaVerso?
Il termine nasce nel romanzo di fantascienza del 1992 “Snow Crash” di Neal Stephenson, come crasi dei termini “metafisico” e “universo”: nel libro viene immaginata come una sfera in 3 dimensioni di 65536 km di circonferenza (come la Terra), in cui ogni utente può creare delle simulazioni in 3D di qualsiasi cosa. Un pianeta virtuale da creare da zero e popolare con costruzioni, locali, negozi, chat room e via dicendo.
Il MetaVerso, per definizione, dovrebbe essere:
- unico (non ha senso parlare di MetaVersi distinti e separati);
- persistente (deve continuare a esistere anche se un utente smette di utilizzarlo, non come un videogame ad esempio);
- immersivo;
- globalmente sincrono;
- scalabile;
- decentralizzato;
- open source;
- interoperabile.
L’esempio più calzante di questa internet immersiva ce lo offre, sempre con grande ironia, il cartoon Futurama: quando i protagonisti vanno su internet si mettono dei caschi per la realtà virtuale e si ritrovano in un mondo 3D che racchiude il peggio dell’internet attuale: banner fastidiosi e persistenti che danno fisicamente la caccia agli utenti, chatroom in cui nessuno è come sembra, siti porno di ogni tipo, fanboys che litigano e chi più ne ha più ne metta (ep.13 stagione 2 – Hai voluto il biciclope).
Nonostante se ne parli ormai da anni, però, al momento non esiste nessun MetaVerso. La strada intrapresa dai grandi “big” del settore è quella di creare dei mondi virtuali a sè stanti, chiusi, che risiedono su alcuni server aziendali. Non c’è quindi unicità, non c’è decentralizzazione, non c’è open source, non c’è interoperabilità. Si tratta, sostanzialmente, di grandi piattaforme 3D private in cui chiedere soldi agli utenti. Ma la cosa peggiore è che nessuna di queste è ancora massicciamente utilizzata dal pubblico, ed anzi si stanno spopolando sempre di più.
Meta ci ha messo anni a tentare di sviluppare il suo MetaVerso senza grande successo, tanto che gli investitori si sono decisamente irritati per l’incredibile perdita di denaro che è costata (13,7 miliardi di dollari stimati) e l’hanno sostanzialmente fermata; le piattaforme di altre aziende sono rimaste sostanzialmente deserte, con pochissimi utenti attivi e pochissime visite giornaliere; tante aziende hanno speso milioni per creare siti web in 3 dimensioni assolutamente scomodi da usare, pesantissimi, per nulla user-friendly, e che nella maggior parte dei casi rimandavano ai siti web tradizionali per finalizzare le Call to action come gli acquisti.
Un’invenzione di giornali e televisioni?
Ma come è nata la “bolla speculativa” del MetaVerso, e come mai ci vuole così tanto a farla scoppiare definitivamente? Innanzittutto, tanti professionisti dell’informazione hanno “pompato” a dismisura la buzz word del momento a suon di articoli, link e servizi televisivi in cui si diceva di tutto, per non dire nulla. È comprensibile che chi lavora per l’informazione cerchi di arrivare sempre prima degli altri, ma sul MetaVerso si è creato un tale cortocircuito tra speculatori professionisti, informazione non consapevole, clickbait e mancata alfabetizzazione informatica che ha prodotto un gorgo in cui sono stati risucchiati anche giornali e giornalisti seri, aziende importanti e persino università prestigiose.
A un certo punto tutti sentivano parlare di MetaVerso, e anche se nessuno ci capiva nulla, e in un mondo in cui il tempismo è tutto, tutti avevano paura di “perdere il treno”.
Ma il MetaVerso quindi esiste?
In una parola, NO. Esistono ancora alcune piattaforme che dopo il primo momento di notorietà sono state abbandonate perchè non interessanti; esiste Meta, che cerca ancora di lanciare questo progetto con degli avatar “accessoriabili” un po’ come i personaggi di FortNite; ci sono Roblox (sostanzialmente un videogame in stile Minecraft), Sandbox e altri che tentano di agganciare al loro mondo virtuale un ecosistema di acquisti per sostenere la struttura su cui poggiano, ma allo stato attuale NON ESISTE ALCUN METAVERSO che corrisponda alla definizione di cui sopra.
Ma perché il MetaVerso non è decollato?
La risposta è tanto semplice quanto disarmante: il MetaVerso al momento non è conveniente per nessuno, in termini di tempo e di soldi. Per entrare nel MetaVerso occorre un visore VR che non è ancora economicissimo nè alla portata di tutti; è scomodo (esplorare un negozio in 3 dimensioni è sicuramente più impegnativo che scorrere una pagina web su smartphone o pc); richiede lunghi tempi di caricamento con la velocità attuale di scambio dati; la realtà virtuale astrae troppo l’utente dal mondo reale, causando problemi di ogni tipo, come infortuni, cadute, distruzione del mobilio. È, alla fine dei conti, un divertissement che dura poco, che stanca presto e che non ripaga gli sforzi fatti per entrarci (e rimanerci).
Il MetaVerso non ci cambia in meglio la vita, anzi per molti versi ce la complica.
L’alternativa al MetaVerso: la Realtà aumentata
Se il MetaVerso non decolla, c’è un’altra nuova tecnologia che probabilmente presto ci cambierà in meglio la vita: la Realtà Aumentata, come quella proposta da Apple con il suo visore Vision Pro.
In realtà le app per la realtà aumentata esistono già e sono state proposte in passato, come ad esempio nel videogioco Pokemon Go, in cui si andava letteralmente in giro per la città a caccia di Pokemon, che apparivano nei posti più disparati. Con l’avvento di smartphone più potenti e connessioni sempre più veloci, non è difficile immaginare che la realtà aumentata prenderà sempre più piede nelle nostre vite, stavolta semplificando per davvero la nostra esperienza. Potrà infatti essere utilizzata per guidarci in una città straniera indicandoci i punti più interessanti, per rendere più efficaci e divertenti i nostri acquisti, o per comunicare meglio con i colleghi a distanza, o per migliorare la progettazione in 3D di ambienti e oggetti. Potrà essere integrata facilmente sui parabrezza delle auto (sempre più a guida autonoma), sugli occhiali e sui caschi da moto.
La differenza fondamentale tra la piena realtà virtuale e la realtà aumentata, è proprio nel fatto che si tratta di una tecnologia che si va a integrare con l’ambiente in cui siamo, senza che ci sia bisogno di astrarci completamente dalla realtà che ci circonda, e ci evita di fare danni, a noi stessi e a ciò che è vicino a noi, come ci hanno insegnato i videogiochi con il visore VR.
MetaVerso e Realtà Aumentata nella fantascienza
Come sempre, per capire se una nuova tecnologia può davvero migliorarci (o peggiorarci) la vita, è bene dare un’occhiata alla fantascienza: non di rado infatti le invenzioni letterarie, cinematografiche e televisive hanno semplicemente anticipato ciò che poi è diventata la normalità odierna – con i benefici e i problemi che ne derivano.
Ad esempio, come non citare il ponte ologrammi di Star Trek (di cui sono grande appassionato): in un mondo dove gli equipaggi delle navi stellari sono in esplorazione nello spazio profondo, essi consentono di ricreare qualsiasi ambiente grazie all’uso combinato di ologrammi e campi di forza. L’equipaggio li usa come mezzo ricreativo (possono ricreare una spiaggia tropicale, una montagna da scalare, un romanzo di cui si è protagonisti) e non solo: possono essere usati per fare sport, per esercitarsi nel combattimento corpo a corpo, per simulare o rivivere eventi o testare nuove tecnologie e tanto altro. Grazie all’intelligenza artificiale è possibile usarli per incontrare e chiacchierare con scienziati, scrittori, grandi del passato: memorabile in questo senso è la partita a poker che il personaggio di Data fa con Isaac Newton, Albert Einstein e Stephen Hawking (che interpretava il suo stesso ologramma).
Da notare come l’accesso a questa tecnologia sia immaginato come estremamente semplice (basta dire al computer a quale programma si vuole accedere ed entrare nella stanza), senza l’ausilio di visori, totalmente immersivo e realistico.
Il ponte ologrammi naturalmente diventa anche un buon espediente narrativo e ottimo spunto per tante storie intriganti, dalle intelligenze artificiali che diventano autocoscienti e prendono il sopravvento sulla nave ai guasti nei protocolli di sicurezza che possono portare il mondo virtuale a uccidere per davvero.
In altri contesti invece gli ologrammi sono usati per comunicazioni “in presenza”, o per migliorare la navigazione stellare.
In Matrix, la stessa tecnologia che tiene prigionieri gli esseri umani viene utilizzata per imparare qualsiasi abilità utile al combattimento o alla fuga. Ancora, nella serie tv Black Mirror, una tecnologia simile viene analizzata in più episodi. In “Giochi pericolosi” la realtà aumentata viene usata per creare videogames, in “San Junipero” si trasferiscono le coscienze in una sorta di paradiso artificiale dove anziani e malati prossimi alla morte possono continuare a vivere in un mondo idilliaco nella memoria di un server; in “Odio universale” la realtà aumentata viene utilizzata dalla propaganda per sostituire le figure dei nemici con quelle di alieni invasori agli occhi dei soldati, in modo che non possano provare rimorso o dubbi sulle loro azioni; in USS Callister il geniale programmatore di un mondo virtuale crea un suo universo personale in cui si libera delle frustrazioni del mondo reale e tormenta delle copie digitali dei suoi colleghi, in una sorta di rivalsa dalla realtà.
Insomma, c’è già tanto per riflettere sui lati buoni e cattivi di queste tecnologie, e di quelle che verranno a breve.