Sappiamo bene quanto il mondo del web sia dominato dai social network, tanto che da qualche anno ormai si sono consolidate le figure degli influencer, vere e proprie star del web che con i loro account su Facebook, Instagram o Twitter sono in grado di inluenzare, per l’appunto, i mercati a cui si riferiscono. E’ il caso eclatante di Chiara Ferragni, che con il suo blog The Blonde Salad è diventata la più ricca influencer di moda in Italia, guadagnando cifre da capogiro indossando accessori e abiti firmati. Naturalmente non tutti possono ambire ai servizi di livello di una Ferragni, ma niente paura: esistono anche i MicroInfluencer, ovvero piccoli influencer che raggiungono un numero minore di persone, ma attivi in ambiti molto ristretti o prettamente locali, e per questo appetibili commercialmente da parte di piccoli imprenditori. Ad esempio, se la Ferragni può fare l’edizione limitata dell’acqua Evian o indossare una borsa di Michael Kors (ed essere pagata profumatamente da queste aziende per farlo), un buon food blogger locale può spingere senz’altro un ristorante in maniera molto efficace, come l’esempio che sto per farvi.
UN ESEMPIO PUGLIESE: BAFFETTOFOOD
Un esempio che mi fa piacere condividere è quello di BaffettoFood, al secolo Michele Pacino, che racconta sui social la sua passione per il cibo, e offre una valida vetrina per chi si occupa di ristorazione a Bari e provincia. Michele si spende per tutta la zona del barese e non solo, offrendo delle splendide immagini dei cibi più golosi che incontra nel suo percorso, ma anche delle descrizioni così vivide e precise che sembra quasi di poter assaggiare i manicaretti condivisi sui suoi canali social.
Quello che succede, quindi, si intuisce facilmente: BaffettoFood offre un servizio ai suoi followers, che lo scelgono come esperto di food di cui ci si può fidare, una “guida Michelin” alla loro portata, quell’amico che ti raccomanda “un locale dove si mangia bene”; i gestori dei locali invece, possono contare su una finestra di notorietà che altrimenti non potrebbero raggiungere, su un pubblico di persone del luogo, interessate al food, che cercano sui canali social gestiti da Michele una nuova esperienza gastronomica, un’idea per il pranzo o la cena, o un nuovo locale da provare. Inoltre, grazie alla sua esperienza e ai suoi studi, Michele “Baffetto” fornisce anche consulenze ai gestori con cui entra in contatto, per migliorare la loro immagine e offrire servizi più interessanti. Un professionista, insomma, che ha fatto della sua passione un lavoro.
Qui sotto ho raccolto alcune delle foto da lui pubblicate sui social: scommettiamo che vi fanno venire fame ?
A CHI SERVONO I MICROINFLUENCER ?
E’ presto detto: A TUTTI, specialmente a coloro che gestiscono una piccola impresa locale, e vogliono avere più visibilità su una piattaforma molto usata, vale a dire quella dei Social Media.
Il microinfluencer è un po’ come un testimonial, e più questo testimonial è affidabile e seguito, tanto maggiore sarà il ritorno che avremo per la nostra attività.
Il problema è che, come capita con ogni nuova figura professionale, e specialmente con quelle che sfruttano il web e i social, c’è tanta gente poco seria che pensa di aver trovato un modo facile per guadagnare, per avere visibilità, e spesso truffare il prossimo. Facile incappare in questi personaggi, quando non si è addentrati al mondo dei social e della rete in generale.
WANNABE & FAKE INFLUENCER
Cito giusto un paio di episodi che sono capitati a miei clienti, per spiegare meglio di cosa parlo.
IL FOOD BLOGGER IN ERBA
Il primo riguarda i WANNABE INFLUENCER, ovvero delle persone che vorrebbero fare gli influencer, ma con scarsi risultati. Queste persone (più d’una) avevano contattato il cliente, una nota azienda alimentare del territorio, proponendo un singolare scambio merci: definendosi FOOD BLOGGER con un discreto seguito, richiedevano un campione dei prodotti che poi avrebbero fotografato e utilizzato in diverse preparazioni culinarie, mettendo in evidenza marchio e prodotto. Il cliente, intuendo che un buon food blogger avrebbe potuto effettivamente essere una buona risorsa per l’azienda, mi aveva chiesto di indagare sul profilo social indicato. Circa 5000 followers su Facebook non sono pochi, e al costo di una fornitura di qualche prodotto, poteva anche valerne la pena. Una di questi sedicenti food blogger mi colpì particolarmente, perché pubblicava delle fotografie di piatti cucinati che erano al limite del film horror.
Non metto in dubbio le capacità culinarie della signora, ma come fotografa lascia parecchio a desiderare. Ecco qualcuna delle foto pubblicate, tutte rigorosamente senza nemmeno un like, e non fatichiamo a capire perchè:
Colori smorti, inquadrature pessime, scarsa illuminazione, nessun impiattamento. In questo caso parliamo di WANNABE INFLUENCER, ovvero di una persona che vorrebbe essere influencer ma non ne ha la capacità: la signora sarà stata sicuramente brava a cucinare, ma comunicare è una cosa diversa, occorre scrivere bene e fotografare bene, coinvolgere le persone interessate e trovarne sempre di nuove.
IL TRAVEL BLOGGER SCROCCONE
Altro esempio, capitato ad un cliente con una struttura ricettiva, è quello del FINTO INFLUENCER, ai limiti della truffa. Il gestore della struttura ricettiva riceve una mail da parte di una sedicente TRAVEL BLOGGER polacca che viaggia per il mondo con marito e figlia al seguito. La blogger propone al titolare una “collaborazione al progetto” che durerà una settimana a Giugno, senza specificare i termini, ma pompando parecchio le proprie statistiche: oltre 35.000 visite al mese sul blog, 150.000 followers sui social. L’obiettivo è creare una guida su cosa fare in Puglia, cosa vedere, dove mangiare etc. etc. Con dei dati così in effetti viene da chiedersi se è il caso di approfondire la proposta, che consiste nello scroccare la permanenza nella struttura in cambio di una menzione sul blog. Ebbene, ecco cosa si scopre indagando un pochino sul blog in questione:
- Le statistiche sulle visite sono fornite tramite un rapporto Google Data Studio, e potrebbero essere prese da qualsiasi sito web o facilmente “drogate” in quanto presentano soltanto pochissimi parametri;
- Una ricerca su SearchMetrics rivela quanto il sito sia in realtà poco visitato;
- Gli articoli sono brevi e scritti male, e al solo scopo di inserire link e pubblicità;
- Il sito è infarcito di pubblicità e link di affiliazioni;
- Il sito è poco leggibile
- La maggior parte dei followers sono su Twitter, dove è molto semplice e conveniente “comprarli” da vere e proprie follower farm in Asia;
- Sebbene con una moltitudine di followers, i like ai post della coppia sono sempre pochissimi.
Insomma, è evidente che ci troviamo di fronte a una coppia di furbetti che, con la scusa del blog, cercano di scroccare una vacanza gratuita al titolare della struttura ricettiva, che fortunatamente aveva subito declinato in quanto già completamente prenotata nel periodo richiesto dalla blogger.
COME DISTINGUERE GLI INFLUENCER ?
Ecco una breve guida a come distinguere i buoni influencer da finti e wannabe.
- Le statistiche: sono una cosa seria, non basta un contatore sul blog. E’ possibile scaricare report dettagliati da Google Analytics, potete chiederli ai blogger per verificare che quello che dicono sia corrispondente a verità; usate poi tools come SearchMetrics per capire se sono vere o finte;
- Le interazioni: i followers “veri” interagiscono molto con i post dei loro influencer preferiti: i post in genere hanno molti like e commenti. Se un influencer ha 1 o 2 like su ogni post e nessun commento, è facile che i suoi followers siano finti;
- Rapporto tra follower e following: specialmente su Instagram e Twitter, si possono vedere quanti profili si seguono e quanti sono seguiti. Un buon influencer ha molti più follower rispetto al following;
- Qualità dei post: un buon influencer pubblica materiale qualitativamente alto e contenuti originali. Se l’influencer fa pessime foto o scrive male, non vorrete certo che penalizzi anzichè esaltare la vostra attività o il vostro prodotto;
- Lo scambio merci:un vero influencer, serio, si fa pagare per i propri servizi e non si svende per un piatto di minestra. Sebbene nuovo, il suo è un lavoro che richiede tempo, preparazione e dedizione. Potrà ricercare potenziali clienti nel modo che ritiene più opportuno, ma non si fa pagare in natura.